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DISTURBI ALIMENTARI – Intervento per l’inaugurazione di Villa Oasi

Inaugurazione della Comunità residenziale per DCA Villa Oasi a San Marcello – 8 aprile 2022.

Siamo qui come referenti del terzo settore al coordinamento regionale per i disturbi alimentari e rappresentiamo al tavolo le associazioni che a vario titolo si interessano dei disturbi alimentari nelle Marche. Nostro obiettivo è far si che venga data voce a tutti gli attori in campo e che si possa superare, prima o poi, la distinzione tra pubblico e privato sociale per costruire una rete realmente operativa nel campo dei disturbi alimentari.
Il mio contributo di oggi verterà principalmente su quella che è la novità e per alcuni il traguardo che i disturbi alimentari hanno ottenuto entrando a far parte dei LEA, i livelli essenziali di assistenza. Quali sono le origini di questo e quali le possibili conseguenze.
Da 30 anni a questa parte, da quando cioè si parla in maniera sempre più assidua di disturbi alimentari e da quando questi sintomi sono presi in considerazione a livello della clinica terapeutica, molti passi si sono fatti anche se non tutti in avanti.
Parto dalla questione sociale, dato che è l’humus su cui ci appoggiamo come esseri umani e dato che non è possibile né auspicabile fare delle distinzioni tra il discorso sociale e quello medico nel senso per esempio che l’ottica della prevenzione e della cura si intersecano e rispondono della stessa logica.
I disturbi alimentari oggi, universalmente direi, non sono più considerate delle patologie dell’appetito o dei capricci legati alla moda.
Certo queste derive ancora insistono nei primi approcci di alcune famiglie spaesate o nel discorso comune meno informato ma certamente non fanno più parte dei dire comune e da tutte le parti si è preso coscienza e conoscenza che quando parliamo di disturbi alimentari parliamo di qualcosa che ha a che fare con un disagio più profondo che si manifesta attraverso il cibo, il corpo, il peso ma come fenomeni e non come cause.

Al tempo stesso, a livello sociale, si è sempre più attenti a modelli legati alla corporeità per esempio che non siano spinti solo verso gli ideali di magrezza e di perfezione. Abbiamo così le modelle più o meno curvy e anche un certo elogio del corpo imperfetto.
Dovremmo dirci che ora che si parla di più dei disturbi alimentari, che l’argomento è sdoganato sul piano pubblico, dei social e dei mass media abbiamo acquisito una maggiore coscienza e consapevolezza e riusciamo a comprenderlo e trattarlo meglio.
In realtà questo avviene a nostro avviso solo a livello di superficie se possiamo dire e anzi tutto questo parlare attorno ai disturbi alimentari non ha che esacerbato alcune posizioni di fondo.

Prendo per focalizzare questo punto le parole di un post appena uscito su un nostro canale social legato a DAMA Disturbi alimentari Movimento Analitico, dato che noi ci interessiamo molto della comunicazione e dei suoi effetti in cui rilevo queste parole:
Si dice che il cibo non è il problema, parlando solo di cibo. Si dice “sei più di un numero” proponendo elenchi di numeri dal più basso al più alto e viceversa. Si dice: “tu sei altro, non sei il tuo sintomo”, spettacolarizzando il sintomo e permettendo che rimanga l’unica modalità di espressione. Si parla di storie soggettive che appaiono però tutte uguali, in un turbinio di frasi anonime, descrizione di comportamenti e condotte reiterate.
Il soggetto continua a perdersi, con i sintomo, nel sintomo, per i sintomo.
Tu non sei la tua malattia
E allora chi sono?
Voglio trovare le parole per dirlo a modo mio.
Questo appello è l’appello fondamentale a cui assistiamo dei disturbi alimentari se solo non ci limitiamo a valutarne la consistenza, farne una diagnosi, orientare una prognosi.

I disturbi alimentari non sono un semplice quadro nosografia, ma sono il risultato di un processo di costruzione inconscia in cui il soggetto che ne patisce è implicato, anche se non lo sa e rifiuta di riconoscerlo.
E qui giungo alla questione dei LEA.
I disturbi alimentari sono oggi riconosciuti come patologie separate da quelle psichiatriche ma facenti parte di un’area specifica all’interno dei livelli essenziali di assistenza e dunque con un budget autonomo e l’accesso all’erogazione dei servizi da parte del sistema sanitario nazionale. Questo può essere considerato un bene o un male a seconda dei punti di vista ma è certamente uno spartiacque.
Tante battaglie sono state fatte anche per arrivare fino a qui, le associazioni dei genitori in particolare si sono molto spese a riguardo. Oggi i DCA o meglio i DAN come vengono oggi classificati, hanno il loro posto tra le patologie riconosciute.
È l’era dei LEA!

Ora noi sappiano che i nomi, le definizioni, le caselle, le diagnosi, danno un posto alle cose, le orientano e le interpretano.
L’era dei LEA sancisce l’era dei disturbi alimentari come una MALATTIA. Grazie a questo si ha ora diritto a essere ascoltati e sostenuti, dal momento in cui si ottiene la patente di malato, di anoressia, di bulimia o di quello che vogliamo.
Questo versante, se favorisce la possibilità di un riconoscimento e di una maggiore presa in carico (che in realtà è ancora tutta da verificare), dall’altra rischia di chiudere e collassare il discorso su piano medicale, valutativo, diagnostico e soprattutto autorizza il soggetto a demandare la responsabilità del proprio atto e a delegare la propria cura, esattamente come facciamo tutti quando ci sentiamo malati e ci appelliamo a qualcuno qualcosa che ci liberi da quel male.

Ora, nei sintomi come l’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari in genere che sono per eccellenza dei sintomi egosintonici e dunque non sono un disturbo per la persona ma eventualmente un’auto cura, uno stato di esistenza, capite bene che appoggiarsi sull’idea di una patologia da curare non aiuta il processo stesso della cura che può avvenire solo a partire dal soggetto e non dall’esterno dato che l’esterno si occupa giustamente di quelle che sono le complicanze fisiche e psichiche del problema ma non ha un sapere sul singolo.
Più i curanti occupano un posto di sapere sul sintomo e più sono fatti fuori da chi ne soffre che ha innanzitutto bisogno di un alleato e un luogo in cui articolare la propria sofferenza.

Allora, a nostro avviso, proprio ora che siamo in questa nuova era dei disturbi alimentari è necessario aprire un orizzonte diverso ed è fondamentale orientarsi da ora in poi in maniera sempre più sostenuta verso una depatologizzazione della malattia e della sua visione universalistica verso una valorizzazione della singolarità con cui questa si presenta.
Bisogna cioè creare uno scarto continuo tra l’universale e il particolare, tra la dominazione e la soggettività, tra le diagnosi e gli individui. Come ha scritto il vicepresidente di Heta in un articolo sul perché non abbiamo partecipato alla celebrazione della giornata del fiocchetto lilla: o si ascolta il disturbo o si ascolta l’essere umano che c’è dietro.
E che le persone che soffrono di disturbi alimentari hanno bisogno di esistere al di là del sintomo.
Nel sintomo, per il sintomo, sul sintomo, grazie al sintomo esistono anche troppo.