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GENITORI IN DIVENIRE – l’esperienza del gruppo genitori HETA

Si è tenuto l’ultimo incontro di: “Come di(n)ventare un buon genitore”. Una serie di incontri rivolti a genitori in cerca di uno spazio in cui condividere le proprie esperienze, dolori, speranze e perché no, a volte anche un momento in cui cercare delle risposte. Gli incontri, svolti nella sede HETA di Ancona e online, sono stati tenuti da degli operatori esperti, svolgendosi ogni terzo giovedì del mese.


Le tematiche affrontate nei vari incontri non hanno seguito un ordine prestabilito, si è scelto piuttosto di lasciarsi trasportare dal flusso degli stessi. Sono stati  introdotti nuovi argomenti sulla spinta di considerazioni nate dall’incontro precedente, e dal legame che via via si è venuto a creare tra i vari genitori.
La finalità di questi incontri era quella di creare un ambiente in cui il soggetto, in questo caso il genitore, potesse verbalizzare e riformulare il proprio vissuto e disagio, favorendo una soggettivazione dello stesso. Riscoprendo e osservando il proprio ruolo di genitore attraverso il confronto con genitori e operatori.

Alla riscoperta di un ruolo

Cosa vuol dire essere genitore? Una domanda piuttosto semplice, che spesso, tuttavia, sembra non avere una risposta altrettanto ovvia. Ogni genitore a questa domanda risponderebbe in maniera diversa, perché ogni esperienza e relazione è profondamente unica. Questa difficoltà nella definizione del concetto genera per forza di cose insicurezza legata a cosa dire, e a come comportarsi quando si riveste questo ruolo. Tuttavia, la consapevolezza dell’impossibilità di una ricetta perfetta apre alla possibilità di mettere in discussione sé stessi come figura genitoriale, in quanto, mostra l’esistenza di altre prospettive con le quali percepire sé stessi e la relazione con l’altro.

Il gruppo come evoluzione

Essere ascoltati da persone che stanno vivendo momenti di fragilità simili ai propri rappresenta una possibilità per non sentirsi soli. Costituisce di per sé un luogo in cui condividere ed elaborare il proprio vissuto, il proprio dolore e le proprie insicurezze. L’ascolto e il rispecchiamento nelle storie degli altri si è rilevato fondamentale in tal senso.
Questo racconto, seppur veritiero, non può spiegare tutto quello che precede la formazione di un gruppo vivo. Il gruppo nel corso dei vari incontri si è dimostrato essere molto più di quanto appena elencato. I genitori si sono ritrovati ad affrontare discussioni, mettendo in dubbio le proprie idee e quelle degli altri. Chiacchierate conviviali, confessioni intime e persino discussioni poco eleganti e accese hanno portato a formare un piccolo mosaico di eventi in grado di creare un legame in continua evoluzione all’interno del gruppo.
Questo legame ha rappresentato un vero e proprio motore ausiliario per il ritmo degli incontri, creando di volta in volta dinamiche nuove, in cui temi e spunti portati dal genitore venivano dibattuti ed evoluti dai genitori stessi, come una comunità, come fossero essi stessi operatori.

Alcuni temi emersi durante gli incontri

Linguaggio

Durante gli incontri con il gruppo è emerso come non solo il messaggio di fondo della comunicazione sia importante, ma anche come il linguaggio e la scelta delle parole per veicolare lo stesso siano fondamentali. Le parole sono pesanti, tanto per noi quanto per i nostri figli, possono rappresentare etichette o macigni nelle vite di entrambi. Ripetere costantemente a un figlio parole preconfezionate dettate da momenti di legittima delusione e frustrazione come: “sei una vergogna, un buono a nulla, fallisci sempre, sei un coglione”, non fanno altro che rendere queste parole più vere per entrambi. Lo stesso discorso può essere fatto per le parole con messaggio di fondo “dolce”. Bisognerebbe forse più spesso capire con noi stessi cosa vogliamo davvero comunicare all’altra persona piuttosto che dire parole di getto per soddisfare una nostra necessità. In mezzo al marasma di grandi e piccole delusioni, se si guarda con particolare attenzione, potremmo accorgerci che il termine “coglione”, per quanto possa essere appropriato, non racconta tutto. Potrebbero ad esempio esserci delle “perle”, piccoli gesti, che vanno contro la narrazione del coglione. Questi gesti vanno notati e accolti, non per aggrapparsi a ciò che non c’è, ma per capire che oltre alla parola e alla narrazione che usiamo, può esserci di più, e questo di più merita parole consapevoli che non vengano solo da meccanismi appresi e consolidati.

Responsabilizzarsi deresponsabilizzandosi

È importante essere consapevoli di rappresentare per il figlio una figura fondamentale per la crescita. Tuttavia, è anche importante ricordare che il genitore non è onnipotente e sempre nel giusto. I figli imparano dall’ambiente non familiare, seguendo anche le proprie tendenze e i propri interessi. Non si può plasmare il proprio figlio come meglio si crede, e non si può vedere sé stessi o il figlio come un errore se quest’ultimo non è come ci eravamo sognati che fosse. Il figlio vive, cresce, impara, nonostante i tentativi del genitore di indirizzarlo, e spesso apprende più da ciò che vede e sente nel non detto piuttosto che dà dei messaggi preconfezionati che consideriamo ideali per lui. A volte, in momenti precisi, anche il consiglio più benevolo può essere percepito come un’imposizione o come un dovere. Capire questi limiti, che riguardano entrambe le figure, può essere un primo passo per creare una relazione più rispettosa e autentica tra genitore e figlio. Il figlio non è perfetto, il genitore non è perfetto, e in fondo è importante che sia così.

Generazioni

Si è indagato con i genitori quali fossero i ricordi più significativi che conservano dei propri genitori. Nello specifico, si è andato a ricercare quei momenti che indifferentemente dalla valenza positiva o negativa, hanno segnato la vita e la via delle persone che hanno fatto parte del gruppo. Sono emersi racconti molto profondi e unici da parte di ogni genitore, riconoscendo come ognuno porta sempre con sé alcuni momenti o parole chiave. Similarmente, una volta riconosciuto il proprio vissuto, si è cercato di immaginare quali ricordi con una valenza simile si stiano creando assieme ai propri figli. Da tutto questo lavoro intergenerazionale è emerso come il “mestiere” del genitore stia cambiando passo passo con i tempi che avanzano. Quello che poteva essere valido per i nostri nonni non è altrettanto valido per noi. Sarebbe assurdo se non pericoloso vedere al giorno d’oggi una famiglia entrare in autostrada con la cara vecchia macchina a vapore. Allo stesso modo un pater familias romano al giorno d’oggi sarebbe rinchiuso buttando via la chiave. Questi esempi, per quanto estremi, rendono però l’idea delle modifiche della società con il passere del tempo. Metodi che ci hanno fatto crescere forse non sono più riproducibili con uno schema di uno a uno in un contesto sociale profondamente diverso. Forse alcuni modi di fare e alcune regole che per dei genitori sono stati fondamentali per la propria crescita da bambini se applicate ai tempi moderni potrebbero non avere gli stessi effetti in vista dei mutamenti sociali e culturali.

Conclusioni

In questo articolo sono riportate solo parti delle tematiche, degli argomenti, dei conflitti e delle connessioni che si sono venute a creare nei vari incontri. Non sarebbero bastate pagine e pagine per raccontare per filo e per segno il percorso.
Ma alla fine? Alla fine di tutte le parole spese, le lacrime versate, le nottate con il mal di testa e la confusione, come si fa? Come si fa a diventare un buon genitore?
La vera risposta a questa domanda probabilmente è appesa nel salone del diurno del centro HETA. Un quadro raffigurante Freud con una citazione attribuitagli ironicamente e che cito: “le madri tocca ’mazzalle da piccole”.
Come già detto in precedenza, non esistono risposte univoche. Ogni genitore è unico, ogni figlio è unico e ogni rapporto che si viene a creare tra genitori e figli è sempre diverso. Quello che si può fare è capire che non si è soli in questo percorso, e che va bene non poter essere perfetti. In fondo come si potrebbe? Però rimane importante vivere il rapporto con il figlio come qualcosa di nuovo e non come sedimento basato su convinzioni aprioristiche. Il rapporto va riscoperto scoprendo sé stessi e l’altro, anche quando quello che ne viene fuori può minare le nostre certezze e capisaldi.